LE VETRATE DELLA CAPPELLINA

Autore: Mario Massarin (Castelfranco Veneto)

Esecutore: Ditta Caron (Creazzo)

LA VETRATA DI MADRE BAKHITA

La prima vetrata, vicina all'altare, ritrae la beata Giuseppina Bakhita. Madre Moretta, nel suo abito di suora canossiana, è raffigurata in ginocchio, esprimendo così la verità profonda della sua vita: lei è vissuta "in ginocchio". anche quando lavorava, perchè in tutto ha inteso rendere lode al "suo Paròn". Un fascio di luce la investe: è la luce di Dio, sole della nostra vita, ma è anche una luce che viene dalla croce di Cristo, nella quale trovano senso e luce anche le nostre piccole e grandi croci. Attorno a Madre Bakhita la luce si scinde nei suoi colori, che si spezzano in tante figure geometriche avvolgenti la nostra beata.

LA VETRATA DI BEATO PIERGIORGIO FRASSATI

La seconda ritrae un giovane, Piergiorgio Frassati, che il Papa ha beatificato il 20 maggio 1990. Nella vetrata è raffigurato in tenuta da montagna, mentre sostiene un compagno di cordata. Sullo sfondo, a sinistra, la croce. L'amore di Piergiorgio per la montagna diventa simbolo del suo grande amore per i poveri, sull'esempio di Cristo Gesù, che ha fatto dono della sua vita. Il compagno di cordata è in effetti un "piccolo", uno dei tanti poveri che Piergiorgio ha amato e servito; e la montagna diventa il Calvario, il monte del dono di sé.

Ma chi era Piergiorgio Frassati?

Piergiorgio nasce da una famiglia dell'alta borghesia torinese il 6 aprile 1901. Suo padre è il direttore del quotidiano "La Stampa". Piergiorgio, dopo la maturità classica, si iscrive al Politecnico per diventare ingegnere minerario. Fa parte di numerose associazioni cattoliche: il circolo Milites Mariae, la Conferenza di S. Vincenzo, il Terz'Ordine Francesco, l'Azione Cattolica. Si iscrive anche al Partito Popolare. E' un ragazzo allegro ed estroverso. Nel 1924 con alcuni amici fonda la società dei "Tipi loschi" e frequenta il Circolo universitario "Cesare Balbo", da cui viene espulso per la sua turbolenza durante un "barboso" Convegno.

Piergiorgio vive con intensa passione ogni attimo e ogni aspetto della vita: lo studio, la politica (fu più volte in carcere per la sua opposizione al fascismo che allora stava imponendosi), la montagna, l'amore ai poveri... sorretto da una spiritualità forte, che si alimentava nella preghiera, nella vita sacramentale e nella convinta appartenenza ecclesiale. Muore a Torino il 4 luglio 1925, a soli 24 anni. Due giorni dopo, i funerali, che vedono la partecipazione di una immensa folla, tra lo stupore dei suoi famigliari, che sono allora vengono a conoscenza della molteplice attività di Piergiorgio.

In occasione della sua beatificazione il Papa Giovanni Paolo II disse di lui: "Tutta la sua vita sembra riassumere le parole di Cristo che troviamo nel Vangelo di Giovanni: "Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui" (Gv. 14, 23).

Egli è l'uomo "interiore" amato dal Padre, perchè molto ha amato! Egli è anche l'omo del nostro secolo, l'omo moderno, l'uomo che tanto ha amato!"

LA VETRATA DI SAN LORENZO MARTIRE

La vetrata, raffigurante S. Lorenzo Martire, si trova nel nostro oratorio, dopo quella di S. Francesco e prima di quella del beato Piergiorgio Frassati e di Madre Bakhita.

Le 4 vetrate sono frutto del genio artistico di Mario Massarin, autore di diverse opere sia in Italia che all'Estero. Già abbiamo scritto che protagonista delle opere di Massarin è la luce, spezzettata da forme geometriche diverse e raccolta in una circolarità che la ricompone.

S. Lorenzo è ritratto con la veste liturgica del diacono, la dalmatica; tiene nella mano destra la palma, segno del martirio e nella sinistra il libro della Parola di Dio, che il diacono è chiamato ad annunciare con coraggio, anche a costo del martirio. La piccola graticola, appoggiata alla gamba sinistra, è lì a ricordare che Lorenzo ha pagato con il prezzo della vita la propria fedeltà al vangelo.

Ma chi era S. Lorenzo? Di lui conosciamo poco. Sappiamo che era un diacono della Chiesa di Roma, a servizio del papa Sisto II e che morì martire nel 258, molto probabilmente bruciato vivo su una graticola. Il suo martirio deve aver prodotto una profonda impressione nei cristiani di Roma. Un Padre della Chiesa, S. Prudenzio, scrive che la sua morte sconfisse il paganesimo, che da allora volse rapidamente al tramonto. Lorenzo fu sepolto sulla via Tiburtina, dove ora sorge la sua basilica. La Chiesa lo onora il giorno 10 agosto. E' il patrono della nostra parrocchia, fin dalla sua fondazione (1100 circa).

LA VETRATA DI S. FRANCESCO D'ASSISI

La prima vetrata, entrando in oratorio, raffigura il grande Santo Francesco, inginocchiato, mentre guarda il Crocefisso, e dal quale è illuminato.

L'opera è di Mario Massarin, come le altre che abbelliscono il nostro oratorio. Anche in questa vetrata i colori, spezzettati e ricomposti in una circolarità che li avvolge, sono i veri protagonisti dell'opera pittorica. La luce, che illumina gli stessi colori, viene dal Cristo crocifisso e trafigge le mani, i piedi e il costato di Francesco: è il momento in cui il Santo riceve il dono delle stimmate, che lo faranno ancor più somigliante a quel Gesù al quale voleva conformarsi perfettamente in ogni cosa.

E' il 14 settembre del 1224, festa della Santa Croce. Da un po' di tempo Francesco è sul monte della Verna: ogni tanto un corvo (raffigurato sulla destra) gli porta un pezzo di pane. Si racconta che prima dell'alba una luce improvvisa e splendidissima avvolgesse il monte. I pastori si svegliano di soprassalto. Anche Frate Leone si accorge di questo splendore insolito e corre fuori dall'eremo verso il luogo dove si trova Francesco; lo vede in ginocchio, con il volto fisso al cielo e lo sguardo sperso nell'infinito. Le sue mani sono ferite, come trapassate da chiodi. Anche i piedi portano gli stessi segni e sul petto la tonaca squarciata lascia intravvedere una lunga ferita. Sono le stimmate. Francesco vide accolta una sua preghiera: "Signore - aveva detto - prima di morire io ti domando due grazie: primo, di provare in me nella misura del possibile, i dolori della tua passione; secondo, di sentire verso di te il medesimo amore che tu hai per noi". La preghiera è esaudita. Francesco, riavutosi dallo smarrimento iniziale, prorompe in un inno di lode: "Tu sei buono, tu sei buonissimo, tu sei infinitamente buono, tu sei la bellezza e la mansuetudine, tu sei la nostra dolcezza infinita".

Qualche tempo dopo, da quel cuore squarciato per amore usciranno le splendide parole del "Cantico delle creature".